Greta Cerretti

Il complotto contro l'America - Philip Roth

Qual è la relazione tra la storia e il mondo reale?

Questa e altre domande si pone J.M. Coetzee nel suo “Lavori di Scavo – Saggi sulla letteratura” a proposito di “Il complotto contro l’America” di Philip Roth pubblicato nel 2004. A lungo si interroga se questo testo possa essere ritenuto un roman à clef, considerando che il protagonista si chiama proprio Philip Roth. In fondo la storia, come ci dice ancora Coetzee, è una versione addomesticata e censurata della storia vera. La storia è imprevedibile, è lo spietato imprevedibile. Il terrore dell’imprevisto è quello che la scienza storica nasconde.

Il romanzo di Philip Roth è un libro sul conflitto noi-loro con innumerevoli spunti di riflessione. Un libro potente, un viaggio nella troppo rapida crescita del piccolo Philip il quale osserva smarrito e inevitabilmente reagisce al cambiamento della sua famiglia e dell’America intera intorno a lui. Mentre il presidente Lindebergh sale al potere e mantiene gli Stati Uniti fuori dal conflitto mondiale, il padre di Philip rimane saldo nei principi e nei valori, scettico nei confronti di quel nazista camuffato, al comando in una tempesta di cambiamenti e paure che lo percuotono sul lato personale e lavorativo; la madre prova a rimanere granitica e coerente con se stessa a dispetto delle circostanze (la sua telefonata interurbana con il piccolo Seldon strappa al lettore lacrime e pezzi di cuore); il fratello maggiore Sandy, come ogni bravo quattordicenne, si lascia travolgere dagli eventi, dalla fama inaspettata, si lascia assimilare dalla famiglia cristiana di Just Folk (mangiando con disinvoltura il maiale) fino a ritrovarsi a chiamare ebrei del ghetto i propri genitori; Alvin, il cugino orfano, si brucia alla fiamma del proprio idealismo incosciente, pagando alla causa il tributo della propria gamba e rinnegando quanto la famiglia Roth gli ha donato in termini pratici ed emotivi. Il mondo di Philip è sempre lo stesso eppure non lo è più, in un crescendo di ostilità e paura in una quotidianità che fino a poco prima era la sua, in una famiglia che si sgretola e si divide perché ognuno interpreta una delle tante sfumature della nuova realtà.

La prosa è fluida, scorrevole, con descrizioni che brillano come piccole gemme mescolando fatti, attributi fisici ed emotivi:

“Seldon era un bambino chiaramente in balia della propria solitudine, immeritatamente ricco di dolore”

 

“Figli di genitori ancora giovani, attentissimi, in buona salute e incorreggibili solo nell’ottimismo”

 

“Tutto ciò che aveva di impersonale era chiaramente visibile”

Nulla di veramente giusto o veramente sbagliato si può fare in tempi così oscuri, perché anche il non fare nulla, in definitiva, è fare qualcosa. Il piccolo Roth rimarrà per sempre segnato da “quella malattia infantile, tutt’altro che rara, che si chiama: perché – le – cose – non – possono – essere- più – come – una – volta”?

Una distopia ingegnosa dove due anni mai esistiti (ma che sarebbero potuti esistere) vengono cuciti tra un prima e un dopo realmente accaduti e storicamente verificabili. Prima e dopo, noi e loro. Diventare d’un tratto estranei, nemici in quella che fino al giorno prima era la tua famiglia, il tuo quartiere, la tua Patria.

 

Articolo di Greta Cerretti

Leggo perché non so volare

Vuoi lavorare con me?