"Fabbricante di lacrime" di Erin Doom
Lo scorso quattro aprile è andato in onda per la prima volta il film tratto dal romanzo “Fabbricante di Lacrime” di Erin Doom. L’occasione è propizia per una lettura critica del libro. Confesso subito, a scanso di equivoci o recriminazioni, che il sottotitolo di questo articolo potrebbe tranquillamente essere: la storia la scrivono i vincitori. Perché Erin Doom è sicuramente una vincitrice: ha iniziato a scrivere su Wattpad conquistando sei milioni di lettori. Sei milioni. Numeri esorbitanti in confronto a qualsiasi esordiente medio e anche a parecchi autori blasonati. Va da sé che, per Salani, pubblicare successivamente “Fabbricante di lacrime” è stato un investimento sicuro.
Dopo la rivelazione del vero volto dell’autrice, celato sotto lo pseudonimo Erin Doom, molti si sono scagliati a sostegno o sfavore del libro. Parecchi, ho avuto modo di constatare, senza nemmeno averlo letto.
Forse il più celebre tra le voci a sostengo è stato Enrico Galiano, il quale dichiara in prima serata su Rai Tre:
“E invece io ti dico grazie, Matilde. O Erin Doom, per chi ti conosce così.
Grazie perché era uno spettacolo uscire in giardino a ricreazione e vedere ragazzi in cerchio leggere i tuoi libri. Grazie perché ti veniva da strabuzzare gli occhi, e ti avvicinavi anche furtivo a controllare perché sembrava una specie di assurdo spazio temporale, un’allucinazione.
Grazie perché davvero era un’immagine che ci lasciava, a noi prof dico, in rapimento estatico, come un’opera d’arte: frotte di tredicenni, ragazze e ragazzi, lì intorno con quel librone in mano, chini insieme, e poi a parlare e confrontarsi scambiarsi sguardi.”
A differenza di molti, il romanzo l’ho letto tutto e l’ho analizzato con la consueta attenzione alle tecniche narrative per capire quali insegnamenti possa trarne l’autore emergente.
Iniziamo con la parte formale. Erin Doom è un’autrice italiana, quindi non possiamo in nessun modo imputare eventuali problemi stilistici alla traduzione. Nel testo vi è un abuso di pronomi riflessivi, in alcune frasi si arriva a contarne addirittura dieci in poche righe; praticamente tutti i protagonisti non parlano ma “soffiano”; ogni cosa, emozione, situazione per prima cosa “gronda”; il bruciore provocato dagli occhi di Rigel è ripetuto fino allo sfinimento. E qui mi fermo, il concetto è abbastanza chiaro. Tutti questi vizi formali possono essere riassunti in una sola parola: ridondanza. Ogni buon editor avrebbe cassato, sostituito, snellito, sfrondato ma nel romanzo della Doom queste operazioni basilari non sono state compiute. Perché?
Il secondo aspetto su cui voglio riflettere è la struttura quinaria della trama e la composizione dei capitoli. Un capitolo asciutto, con cliffanger finale, invoglia il lettore a proseguire di pagina in pagina. La trama della Doom non ha una struttura quinaria compatta e risente decisamente di quello che possiamo chiamare “effetto Wattpad” ovvero scrittura per capitoli successivi: quando si è abituati a scrivere un pezzo di storia alla volta, diventa molto alto il rischio di perdere la visione d’insieme. Sta poi all’editor seguire l’autore per restituire compattezza ed equilibrio al testo. Un esempio su tutti: il processo all’istitutrice violenta. L’evento arriva come un fulmine a ciel sereno, quando ormai la trama si è decisamente conclusa, e si svolge frettolosamente in pochissime pagine, in particolare se paragonato a quel che lo precede e ai lunghissimi ed estenuanti tira e molla tra Rigel e Nica. Allo stesso modo la rivelazione della relazione sessuale tra Rigel e Adeline avviene ormai a titoli di coda inoltrati e liquidata in poche righe senza una reale funzione nella trama. Insomma, il romanzo manca completamente di un adeguato scioglimento, anzi si denota una grande difficoltà a farlo terminare e una volontà di allungare il brodo oltre il necessario. Tutti “difetti” che un editor avrebbe potuto facilmente risolvere, ma anche qui non c’è traccia di interventi professionali di editing (anche se in fondo la Doom è dichiaratamente esordiente).
Perché? Ve lo abbiamo detto in apertura perché: la storia la scrivono i vincitori. Ed Erin Domm nasceva già come fenomeno editoriale ben prima di arrivare in libreria. Cosa insegna questa esperienza all’autore esordiente? Ci insegna che abbiamo di fronte due strade: la prima è scrivere un romanzo corretto, scorrevole e gradevole da punto di vista stilistico, con una trama compatta e ben congegnata, seguendo i consigli di editor, agenti ed editori. La seconda è costruirsi una rete di follower ben solida, in qualsivoglia mondo social, perché è ormai un fatto assodato (condivisibile o meno) che gli editori oltre a guardare il romanzo guardano anche l’autore e quanto l’uno, l’altro o entrambi possano produrre un guadagno certo. Tra le due non possiamo parlare di strada migliore o peggiore, giusta o sbagliata, non c’è giudizio in questa constatazione. Se quello che desideriamo è raggiungere una fetta consistente di lettori, dobbiamo solo essere consapevoli di quali siano le strategie per riuscire nell’intento.
Articolo di Greta Cerretti