"Predatori notturni, assedio a Roma Sud" di Marzia Musneci
È sempre difficile parlare di un romanzo quando si conosce l’autore. Chi scrive rifugge la tentazione di leggere perfino la quarta di copertina per timore di venire influenzata da qualsivoglia anticipazione. Questa volta, per parlare di “Predatori Notturni, Assedio a Roma Sud” pubblicato da Todaro Editore, scelgo invece di partire proprio da una conversazione avuta con l’autrice riguardo il suo precedente romanzo “Grosso guaio a Roma Sud”. Rispondendo ad alcune osservazioni, Marzia Musneci pronuncia le seguenti parole.
“Il mio problema è che, nella vita reale, se incontro una persona
con un qualsiasi difetto fisico non è che non ci faccio caso: proprio non lo vedo.”
Zek e Sam sono gemelli congiunti. O siamesi, come siamo più abituati a dire nel linguaggio comune. Congiunti e sfigati, perché anche quando provano a rigare dritto, a non commettere né piccoli né grandi reati, si trovano sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. E così le vendette di mafia, lo sfruttamento della prostituzione, le frodi fiscali e chi più ne ha più ne metta convergono sulle loro teste così diverse eppure costrette a convivere in ogni situazione. “Predatori Notturni” è un romanzo maturo, la confidenza che ormai l’autrice ha con i protagonisti si percepisce in ogni passaggio, in ogni sfumatura, nel modo con cui gioca con le loro debolezze e le loro fragilità.
Il romanzo di Marzia Musneci è un thriller poliziesco di qualità. Tutti i nodi vengono sciolti, il lettore non viene mai ingannato e ha la possibilità di arrivare da solo alla soluzione senza nessuna imbeccata. Senza nessun deus ex machina. Sembra scontato, ma nel panorama del giallo, poliziesco e noir attuale non lo è per nulla.
La prosa è fluida, curata, asciutta eppure in alcuni passaggi poetica. Pennellate, cesellature: un aggettivo al punto giusto, una sinestesia dove deve stare, l’ossimoro opportuno per coccolare il lettore.
“Quell’impasto di oro e rosso – miele e carcadè – capace di mutare mille volte prima di cedere al blu che saliva dalla linea dell’orizzonte.
E i lampioni che impunturavano il fiume come faceva sua madre quando orlava gli abiti delle ragazze con piccole pietre lucenti.”
Una descrizione simile ti fa venire voglia di correre al Lungotevere per commuoverti davanti al tramonto, anche se sei consapevole di trovare ad attenderti un traffico eccessivo e la poco romantica Roma dei giorni nostri.
L’autrice utilizza anche un espediente che trovo gustoso e peculiare, vale a dire anticipare gli avvenimenti di ogni capitolo con un titolo accattivante, che non svela ma intriga.
I personaggi sono ben delineati, hanno ognuno la propria personalità tridimensionale, sfaccettata, mai banale. Ognuno ha il proprio registro, il “Che viene a dire” di Zek ogni volta strappa un sorriso. In effetti l’ironia corre lungo le pagine senza sbavature: un momento l’autrice ti fa ridere, quello dopo preoccupare, quello dopo ancora commuovere. Con abilità.
La tecnica di Marzia Musneci è ben collaudata, complice l’esperienza, e lei la padroneggia in modo ineccepibile. Show don’t tell, certo, ma anche il giusto riconoscimento a chi apprezza le descrizioni, senza dimenticare il lettore amante dell’approfondimento psicologico. Ce n’è per tutti, in giusta misura, senza eccedere in nulla. Proprio questo aspetto rende il romanzo davvero godibile e capace di restare nella memoria del lettore. E qui aggancio la frase iniziale dell’autrice: “Il mio problema è che, nella vita reale, se incontro qualcuno con un qualsiasi difetto fisico non è che non ci faccio caso: proprio non lo vedo.” Lei si riferiva allo stato di gemelli congiunti di Sam e Zek.
Ci sono cose che il lettore deve vedere e altre che non deve vedere. Primo anno di università, lezione di Psicologia Generale. Per parlare dei sensi e di come ognuno di noi abbia un senso d’elezione si propone l’esempio dei bestsellers. Nelle descrizioni il bestseller è un romanzo che “accontenta” tutti: chi è più uditivo, chi è più olfattivo, chi può visivo. Una tecnica che non deve vedersi, per l’appunto. Un’altra cosa che non il lettore non deve percepire è l’algoritmo. Non si tratta di una parolaccia: algoritmo è quel principio delle piattaforme streaming dove per soddisfare spettatori di gusti, età, etnie, religioni, orientamenti politici e sessuali differenti bisogna inserire determinati elementi. La narrativa non è esente da questo meccanismo. Senza addentrarti su considerazioni se questo sia giusto, sbagliato, letterario o meno, il risultato è che purtroppo al cinema come nei libri troppo spesso ci troviamo di fronte tentativi goffi e mal riusciti di inserire in una trama quegli elementi che l’autore (o l’editore) pensa debbano essere presenti.
In “Predatori notturni” Marzia Musneci soddisfa ogni sorta di algoritmo senza sforzo, con naturalezza, in un modo che mi sento di definire implicito. L’autrice non prende alcuna posizione e soprattutto, nemmeno per un istante, il lettore si sente catechizzato. Al contrario, il lettore viene abilmente intrattenuto. Soltanto a posteriori, ripensando alla trama, all’intreccio, ai personaggi, l’elenco dei temi che l’autrice è riuscita a trattare senza trattarli si fa praticamente infinito.
Da lettrice, esco pienamente soddisfatta dal lauto pasto che è “Predatori notturni – Assedio a Roma Sud”.
Da scrittrice, esco con aumentata fame di migliorare la tecnica seguendo esempi di questo livello.